Quando due zulu s'incontrano, si salutano dicendo l'uno "Ti vedo" ("Sawu bona"; la "w" è muta) e l'altro "Sono qui" ("Sikhona").
In Italia: “Ciao, come va?”. “Ho appena
ammazzato il mio capoufficio, e tu?”. “Anch'io bene, grazie”.
Tanta gente chiede “come va” per
abitudine, senza che le interessi la risposta.
Da tempo un'altra moda simile, altrettanto priva di consapevolezza e magari tacciabile di ipocrisia, è la domanda “Tutto bene?”. Ma solo a un dio, un santo, un buddha... può andare tutto bene. Al limite non sarebbe più intelligente porre una domanda come “In questo momento il bilancio della tua giornata è positivo o negativo?”. Basta una puntura di zanzara, una lieve flatulenza, il nodo alla cravatta leggermente storto, perché non tutto vada bene.
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Michael Douglas nel film “Un giorno di ordinaria follia” (1993) |
Da tempo un'altra moda simile, altrettanto priva di consapevolezza e magari tacciabile di ipocrisia, è la domanda “Tutto bene?”. Ma solo a un dio, un santo, un buddha... può andare tutto bene. Al limite non sarebbe più intelligente porre una domanda come “In questo momento il bilancio della tua giornata è positivo o negativo?”. Basta una puntura di zanzara, una lieve flatulenza, il nodo alla cravatta leggermente storto, perché non tutto vada bene.
Eppure l'interrogato risponde: “Sì,
grazie”. Anche perché nessuno dei due ha voglia di parlare di sé
all'altro e soprattutto di ascoltare l'altro che parla di sé.
Effettivamente si tratta spesso di un
dialogo fra sordi, dove l'interrogante dà per scontata una risposta
di circostanza breve e positiva. Ma quale sarebbe la sua reazione
emotiva e comportamentale se si sentisse replicare “No, certe cose
non vanno bene, e adesso ti spiego nel dettaglio quali”.
Scena del film "Weekend con il morto" (1989)
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